Quante volte ci capita di non sapere a chi è assegnato un determinato compito? Quante volte questo causa ritardi ai programmi che abbiamo fatto?
“Io pensavo lo facessi tu.”
“A dire il vero, mi sembrava che fosse stato detto che era di tua competenza.”
“Ma nessuno mi aveva avvertito…”
E così, tra giustificazioni varie, incomprensioni e dimenticanze ci ritroviamo cercare il “colpevole”.
Assegnare le responsabilità e la relazione tra le persone e le attività da svolgere, è un modo semplice ed efficace per evitare queste situazioni. Uno degli strumenti più utili in tal senso è la matrice RACI che definisce anche il tipo di relazione fra la persona e la specifica attività:
– Responsible, chi esegue e assegna l’attività;
– Accountable, chi ha la responsabilità sul risultato dell’attività;
– Consulted, chi collabora con il Responsible per l’esecuzione dell’attività;
– Informed, chi deve essere informato.
Definire queste relazioni ci permette di indicare chiaramente “chi fa che cosa” e di evitare di ritrovarci come affermava Stanislaw Jerzy Lec quando diceva che “A volte è solo uscendo di scena che si capisce quale ruolo si è svolto.”
Ho una bambina di dodici anni e, da quando è piccola, ho sempre cercato di permetterle di scegliere e prendere decisioni per cose più e meno importanti. Perché, come affermava Eraclito, “ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi.” Ho sempre desiderato che mia figlia diventasse una persona responsabile. Il punto è proprio questo: la responsabilità di ciò che si è e di ciò che si fa dipende da quanto si può realmente decidere e da quanto si decide. E dal potere decisionale. Se non si può decidere si fallisce. In partenza. Si creano e si lasciano crescere, in silenzio quasi religioso, organizzazioni che non hanno alcuna capacità decisionale. E, in quanto tali, non hanno alcun senso di responsabilità rispetto a ciò che sono e a ciò che fanno. Poi, ad un certo punto della propria vita ci si chiede: ma siamo veramente certi che l’individuo voglia avere la libertà di decidere? Avere qualcuno che lo fa al nostro posto non è più comodo? Perché, del resto, “da un grande potere derivano grandi responsabilità.”
Se ci riflettiamo bene, ciò che a qualcuno può sembrare una specie di burocratizzazione delle attività, non è altro che un modo semplice per evitare incomprensioni e percorrere in maniera lineare la strada che abbiamo tracciato verso un obiettivo. I risultati che possiamo ottenere sono davvero tanti: conoscere in ogni momento chi ha il compito di rispondere alle domande che possono arrivare durante il cammino; aiutare le altre persone coinvolte nel percorso a sapere a chi segnalare, chiedere aiuto o affidare un’attività; impedire che il percorso si interrompa perché qualcuno non è riuscito a soddisfare una responsabilità assegnata; è uno strumento semplice da utilizzare, implementare e aggiornare, visivo, intuitivo, auto-esplicativo, ed estremamente rapido da consultare; la comunicazione tra più persone che si trovano a viaggiare insieme è implicitamente stimolata, così come la collaborazione e il lavoro di squadra; la divisione dei compiti è chiara e definita così da evitare errori o interruzioni dovuti al non sapere chi deve fare cosa; attraverso una semplice rappresentazione grafica si crea un elevato senso di responsabilità: tutti sanno che i risultati dipendono dalle prestazioni di ciascuno sulla specifica azione/attività; l’assegnazione delle risorse e delle energie può essere gestita in maniera appropriata; se un membro del gruppo va via, chi lo sostituisce sa esattamente cosa fare e dove si trova all’interno del percorso. Attenzione però: non è solo una questione di ordine ottenuto attraverso una chiara definizione di ruoli e mansioni. Tutto questo è molto di più. Ognuno di noi è responsabile di ciò che accade e ha il potere di decidere che cosa vuole essere. Perché quello che siamo oggi è il risultato delle nostre decisioni e scelte passate. Quello che saremo domani e il traguardo che avremo raggiunto sarà il risultato delle nostre azioni di oggi.
Generalmente poniamo la nostra attenzione sulla responsabilità perché essa dovrebbe essere la strada attraverso la quale si stabiliscono i compiti in un gruppo di persone, sia singolarmente sia in termini di comunità. Durante una partita a calcio, in famiglia, in azienda, nella società. Eppure, nonostante se ne faccia un gran parlare, nonostante sia evidente l’importanza di stabilire “ciò che ci compete”, ancora troppo spesso il significato profondo ed essenzialmente umano di questo nostro dover essere (responsabili), ci sfugge… La parola “responsabilità” è composta da “re” (indietro), “spondere” (promettere), “bile” (capacità). Quindi la capacità di promettere in reazione a una domanda (esigenza, richiesta). E, soprattutto, non è una mera questione di compiti assegnati e incarichi da svolgere. Essere responsabile implica un atteggiamento profondo e intimo di ingaggio. Significa essere protagonista per sé stessi e per gli altri. La differenza tra chi decide di essere e chi, invece, si accontenta di eseguire il compito sta proprio in questa diversa attitudine alla vita. Ognuno, ovviamente, è libero di scegliere il percorso che più desidera, ma proprio questo stesso percorso dovrebbe portarci a comprendere che “non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo”.
Disegni di Salvatore Parola
Sceneggiatura e testi di Francesco Spadera