Decisione ed etica
Ogni individuo deve essere capace di decidere perché la decisione è un rischio insito nel coraggio di essere liberi e di realizzare il proprio futuro. In questo sta la sua forza, il potere delle sue decisioni, ma in questo sta anche la sua più ardua sfida, perché decidere è spesso difficile e obbliga a fare i conti con la propria coscienza. Decidere può essere considerato il primo passo di un lungo cammino: si comincia a gestire situazioni e progetti via via sempre più complessi, fino ad arrivare alla gestione di quello che potremmo definire il progetto per eccellenza: l’impresa. Compito di ogni individuo è incidere nella generazione di una cultura dell’etica all’interno della struttura organizzativa di appartenenza. Il problema è che anche la crescita di ciascuno è oggi spesso guidata da principi che, soprattutto nelle fasi più avanzate del percorso (dove la misura del risultato è sempre meno oggettiva), con il merito e la competenza hanno poco a che fare. Piuttosto rispondono a logiche particolari dettate da volgari interessi personali, spesso anche al di là del mero ordine economico. Ognuno dovrebbe impegnarsi a utilizzare l’etica riferendosi a valori di base e supportando le persone intorno nel condividere questi valori e nello sviluppo delle proprie potenzialità, rispettando un modello di etica condiviso con il mondo che le circonda. L’etica diventa dunque uno strumento del pensiero: è difficile valutare chi ha ragione in una discussione quando entrambe le parti possono esporre il proprio punto di vista con solidi ragionamenti tecnici. Entrambe le posizioni potrebbero ugualmente portare a risultati accettabili, ma a volte la differenza sta proprio nel dominio dell’etica, piuttosto che della ragione. Ecco che l’etica aiuterà a isolare l’essenza della scelta. Come diceva Ennio Flaiano: “Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l’errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un’altra verità altrettanto valida, e l’errore un altro errore.”
Ogni individuo ha il proprio imperativo. Quanto è importante questo imperativo nella gestione dei propri progetti? Il grande Russel D. Archibald, probabilmente il maggiore divulgatore della disciplina del project management degli ultimi decenni, ha coniato quella che è stata ed è ancora ritenuta la definizione più accurata e completa di progetto: “un’impresa complessa, unica e di durata determinata, rivolta al raggiungimento di un obiettivo chiaro e predefinito mediante un processo continuo di pianificazione e controllo di risorse differenziate e con vincoli interdipendenti di costi, tempi e qualità”. Uno dei termini fondamentali e più complessi di tale definizione è “risorse”. Parola utilizzata spesso nel linguaggio comune e in quello aziendale con troppa superficialità. Le risorse… moderne Carneade? Mmm… Quante volte abbiamo sentito qualcuno dire che tutti sono necessari e nessuno è indispensabile? Fin troppe volte, forse. E con fin troppa miope superficialità. Un’organizzazione è un sistema complesso e ogni sua parte è essenziale non solo in quanto tale ma soprattutto in quanto in continua interazione con tutti gli altri componenti del sistema stesso. Se ci soffermassimo un po’ di più sulle parole e sul perché di ciò che facciamo, potremmo addirittura arrivare al significato originario e vero del termine: la risorsa è un tesoro (ri)trovato. Sono le persone che costituiscono e sostengono le aziende. Se vogliamo realmente crescere e progredire, se vogliamo avere delle organizzazioni che contribuiscano eticamente alla creazione e allo sviluppo di una società sostenibile, dobbiamo permettere a ciascuna risorsa di realizzarsi esprimendo le proprie potenzialità, tenendo sempre presente, in maniera categorica, le seguenti parole: “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine, mai solo come mezzo”.
Come afferma Deepak Chopra: “Quando si effettua una scelta e si prende una decisione, si cambia il futuro.” E noi ogni giorno ci troviamo a cambiare il futuro, perché ogni giorno ci troviamo a fare delle scelte, a dover risolvere dei problemi e, dunque, a dover prendere delle decisioni, più o meno importanti. Capita a tutti, senza distinzione di età, di sesso, di luogo di origine, di ceto sociale… È proprio la capacità di decidere ciò che ci distingue dagli animali e ci permette di “progettare”. È ciò che differenzia il mondo dell’istinto, proprio degli animali e tipico di un percorso a meta determinata – rigida – dal mondo delle pulsioni, proprio degli esseri umani e tipico di un percorso a meta indeterminata. E proprio questo è anche ciò che definisce la nostra identità, quello che siamo per noi e per gli altri. In ambito progettuale il processo decisionale è uno dei compiti più critici di un Project Manager, che si tratti di una decisione presa singolarmente o che ci si faccia portavoce di una decisione dell’intero gruppo di progetto. In che modo è dunque possibile prendere la migliore decisione possibile tra le diverse opzioni che si possono avere? Il Project Manager deve assicurarsi di controllare il rischio, minimizzare l’incertezza per apportare benefici diretti al progetto e all’intera organizzazione. L’utilizzo di un approccio strutturato e metodologico è, senza dubbio, un modo efficace per prendere decisioni ponderate e consapevoli. Un approccio che si traduce in: raccogliere i dati di progetto, analizzare i dati per ottenere informazioni, utilizzare le informazioni per prendere decisioni. Nella vita di tutti i giorni è lo stesso. Che si tratti di andare a cena con la nostra compagna o che si decida di dedicarsi alle pulizie di casa, dobbiamo recuperare la capacità di osservare, ciò che siamo e ciò che ci circonda, la capacità di analizzare e riflettere per poi decidere… perché questo cambia il nostro futuro.
Le decisioni morali, anche quelle che afferiscono alle sfere più complesse dell’esistenza umana, sono prese in maniera molto più razionale di quanto si possa credere. È vero che all’essere umano non piace l’incertezza perché essa implica assenza di sistemi di riferimento stabili, volatilità, cambiamenti continui di direzione, casualità e rischi spesso non noti e dalle conseguenze ancora più ignote. Eppure, molti studi negli ultimi anni hanno dimostrato che né la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui (empatia) né l’incapacità di manifestare le proprie emozioni (alessitimia) sono determinanti quando si tratta di prendere decisioni, anche difficili. Infatti, il nostro cervello è alla continua ricerca di informazioni per poter superare le situazioni di incertezza, e, non disponendone, tende a lanciare a sé stesso segnali di pericolo. In molti casi, però, capita anche che quando mancano i dati, rischiamo spesso di sopravvalutarne il valore. La nostra mente presuppone che dal momento che stiamo spendendo risorse per trovare tali informazioni, questi dati debbano necessariamente essere utili e importanti. A volte, al contrario, il rischio che si corre può essere l’opposto: troppo dati. Che forniscono troppe informazioni e che, come nel caso di informazioni carenti, rendono il processo decisionale difficoltoso. Ogni momento della nostra vita è influenzato dalle decisioni che prendiamo in maniera più o meno consapevole. Queste decisioni possono cambiare la nostra vita lavorativa, le nostre relazioni, tutta la nostra esistenza. Saper prendere “buone decisioni” è dunque un aspetto fondamentale e importante della vita delle persone. Qualsiasi situazione in cui siamo costretti a decidere può avere grandi conseguenze sul futuro, anche quando non ricordiamo più quanto deciso o ne sottovalutiamo l’importanza. È questo il motivo per cui è utile e necessario creare un metodo che permetta, oggi più che mai, di scegliere in modo rapido ed efficiente.
Disegni di Salvatore Parola
Sceneggiatura e testi di Francesco Spadera