#anchequestoèprojectmanagement – Kanban – NOVEMBRE 2021

Kanban

La parola Kanban deriva dal giapponese (due sillabe “kan” e “ban”) e significa letteralmente “carta segnale”. Sviluppato a partire dal 1947, questo sistema venne utilizzato inizialmente nella gestione della produzione della Toyota per poi cominciare a diffondersi a macchia d’olio e influenzare molti altri settori, dallo sviluppo agile nell’information technology, in primis, a tanti altri settori successivamente. Lo scopo è di creare un flusso di lavoro continuo, strutturato, ordinato e guidato da ciò che effettivamente è necessario fare sulla base delle richieste a valle del processo produttivo stesso. Per questo motivo il metodo Kanban è stato associato all’approccio detto di tipo “pull”, ovvero “tirare”. È l’esigenza a valle, ciò che desidera l’utente finale (l’obiettivo da raggiungere), che “tira” l’intero processo produttivo e che, dunque, gestisce lo svolgimento e il fluire delle azioni.

Il principio fondamentale alla base di tale metodo è la visualizzazione delle attività: si utilizza una lavagna, la Kanban Board, per permettere di avere sempre visibile il flusso delle azioni, lavagna che può essere anche un grande cartellone bianco. Una lavagna aperta e sempre visibile a tutti i componenti del team sulla quale sono rappresentati tutti i compiti assegnati. Ogni singolo compito viene applicato sulla lavagna sotto forma di cartellino colorato (ad es. un post-it). La cosa più importante nell’impostazione della lavagna è che i cartellini siano chiari, comprensibili e ben visibili.

La lavagna viene solitamente suddivisa in tre colonne (almeno tre). La prima colonna a sinistra contiene tutti i compiti (ancora) da cominciare e da svolgere (To Do). La colonna al centro mostra tutti i compiti a cui si sta già lavorando (WIP, work in progress). Nella terza colonna (Done) vengono messi i post-it indicanti le attività concluse. I compiti (post-it) si muovono da sinistra a destra, fin quando non arrivano alla colonna finale dove si trovano le azioni portate a termine. Con questa semplice rappresentazione si riesce ad aumentare la trasparenza del lavoro in maniera chiara, diretta e, soprattutto, visibile a tutti.

In ambito industriale, e in particolare nel sistema di gestione della produzione implementato dalla Toyota nei propri stabilimenti (il cosiddetto “Toyota Production System” o TPS), il kanban è un cartellino visuale utilizzato come segnale identificativo. Una sorta di allarme visivo. Quando serve rifornire il materiale in una determinata postazione (o stazione) di lavoro rimastane carente, questo cartellino viene posto sulla linea di lavoro proprio lì dove necessario. Il kanban permette quindi di gestire il flusso dei materiali da una stazione a monte a una stazione a valle. Così come quello della comunicazione in entrambi i versi. Questo “semplice gesto” è fondamentale per evitare quello che i giapponesi considerano uno degli sprechi più importanti da eliminare: l’attesa. In una stazione di lavoro si può procedere con le attività se e solo se tutto ciò che serve per svolgere quelle stesse attività è effettivamente disponibile sul posto. Questo strumento è stato riproposto attraverso la “kanban board” (lavagna kanban). Infatti, la cosa più importante nell’impostazione e nell’utilizzo della lavagna è che i post-it (i cartellini) siano comprensibili e ben visibili ma soprattutto che siano una continua e reale rappresentazione delle attività che abbiamo messo a programma. Avere sempre difronte ai propri occhi lo stato aggiornato di cosa sta accadendo ci permette di evitare tutta una serie di criticità (ritardi, attese, dimenticare qualche punto, non cogliere i problemi,…) che sono fisiologiche dei sistemi di monitoraggio non visuali.

Con l’utilizzo del kanban, inoltre, si può osservare anche un altro aspetto importante in ogni contesto nel quale viene utilizzato: un aumento del livello della responsabilizzazione. Guardando quei post-it colorati sulla lavagna, ognuno, rispetto alle azioni di propria competenza, avverte un maggior coinvolgimento, una maggiore responsabilizzazione e uno spirito di partecipazione decisamente più forte.

L’utilizzo di una lavagna “kanban”, quindi, permette di tenere costantemente sotto controllo il flusso del lavoro e, in particolare, delle attività necessarie a svolgerlo. Molto spesso, infatti, le criticità che ci troviamo ad affrontare dipendono proprio da una non chiara conoscenza di ciò che si sta facendo.

Sono tre semplici domande a definire ciò che occorre sapere: a che punto del lavoro siamo; cosa manca ancora da fare; cosa non ci permette di essere efficienti ai massimi livelli in ciò che stiamo facendo. Uno strumento tanto elementare quanto potente, nato più di 50 anni fa e passato poi dalla “pura produzione industriale” alla gestione dell’intero progetto. E come ogni strumento, per poterlo utilizzare al meglio è necessario seguire una serie di regole.

Le “kanban card” (o post-it): una rappresentazione visiva delle attività. Ogni card può contenere informazioni basilari sulle attività a svolgere.

Le “colonne kanban”: ogni colonna rappresenta una fase diversa del flusso di lavoro. Le card vengono spostate in orizzontale per “rappresentare” lo scorrere del flusso di lavoro fino al completamento.

I “limiti del work-in-progress”: necessari a definire e ottimizzare il numero massimo di attività che si stanno svolgendo. Limitare il work in progress permette di completare ogni pacchetto di lavoro più rapidamente, supportando il gruppo nel concentrarsi soltanto sulle attività correnti e importanti in un determinato momento.

I “Done”: le cose fatte; occorre chiaramente mostrare cosa è stato completato così da avere la concreta visione dello stato attuale, dei risultati ottenuti e di quelli non ancora raggiunti.

E darsi al momento giusto una pacca sulla spalla che non fa mai male.

I “Done”: le cose fatte; occorre chiaramente mostrare cosa è stato completato così da avere la concreta visione dello stato attuale, dei risultati ottenuti e di quelli non ancora raggiunti. E darsi al momento giusto una pacca sulla spalla non fa mai male, dato che ci nutriamo anche di questo.

Quante volte abbiamo davvero festeggiato e celebrato i nostri traguardi? In quante occasioni abbiamo apprezzato in modo esplicito i risultati raggiunti da soli o con la nostra famiglia o con la nostra squadra di lavoro? Forse diamo troppo per scontato la risposta. E, a pensarci bene, tanto scontata non lo è affatto. Probabilmente, la nostra educazione e di conseguenza la nostra cultura ci hanno spinto nel tempo a confondere il successo per un risultato auspicato e ottenuto con una normale attività. Priva di emozione: perdiamo l’entusiasmo iniziale nel voler ottenere ciò che vogliamo, strada facendo o dopo averla ottenuto. Spesso quando otteniamo il risultato desiderato ci dimentichiamo di festeggiare, anzi, alcuni sono talmente pieni della cultura del sacrificio (certamente sacrosanto ma non unico compagno di viaggio), che ritengono perfino sbagliato festeggiare un obiettivo ottenuto. Questo accade probabilmente già dalla prima infanzia. Quando un bambino svolge un compito, questo diventa il suo normale impegno. Se non ottiene un voto alto, “gli adulti” insoddisfatti gli chiedono di più. E sin da piccoli siamo educati alla dittatura dei risultati, dei giudizi e del confronto. E come spesso accade, in molti casi, la sconfitta ha la priorità sul successo. Con le ovvie conseguenze.

Attenzione: celebrare un risultato positivo non è detto che sia una mancanza di modestia ma è un modo per alimentare le nostre aspirazioni, spingerci a fare di più. “Se sono arrivato fino a qui, posso arrivare ancora oltre…” Siamo quasi sempre concentrati sugli errori, ma ci siamo mai posti la seguente domanda: “Impariamo tanto e di più dai successi o più dalle sconfitte?” Pensiamoci.

 

Disegni di Salvatore Parola

Sceneggiatura e testi di Francesco Spadera

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