Oggi ognuno di noi manda e riceve ogni giorno centinaia di informazioni. La tendenza è quella di produrre una quantità eccessiva e inutile di messaggi. E così a fine giornata non abbiamo trasmesso nulla o quasi. Dalla sveglia del mattino all’ultima occhiata social la sera prima di chiudere gli occhi.
Possedere la conoscenza ma non saperla esprimere in maniera chiara non è meglio che non avere alcuna idea. È ciò che più di duemila anni fa affermava, giustamente, un giovane ateniese. Che sarebbe poi passato alla Storia come uno dei più grandi politici e oratori di tutti i tempi. Aveva già allora compreso ciò che stiamo riesumando negli ultimi decenni, ovvero che in ogni comunicazione sono sempre presenti due proposizioni: esiste sempre un livello oggettivo e uno relazionale. In un mondo che fa della complessità il suo carattere distintivo, comprendere che oggetto-relazione è, in termini comunicativi, un binomio indissolubile, significa riuscire a condividere con gli altri le proprie idee. E fa tutta la differenza. Perché, se comunicare significa mettere in comune, il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione.
Non si può non comunicare. Attraverso “la condivisione di informazioni” impariamo a riconoscere chi siamo e a definire la nostra identità. Il comportamento, le parole e i silenzi, l’attività e l’inattività, i gesti compiuti e quelli solo accennati, hanno tutti un valore di scambio. Tutti influenzano gli altri interlocutori che non possono non rispondere. Perché la comunicazione dell’individuo è una necessità sociale. In quanto tale, ogni atto comunicativo non trasferisce soltanto informazioni tra due o più persone, ma, al tempo stesso, impone un comportamento. Ogni messaggio ha una doppia natura: il contenuto dell’informazione e il comando, ovvero il modo in cui deve essere ricevuto quel preciso messaggio, differente a seconda della relazione esistente ed emergente. Questo modo di interagire permette all’individuo di interfacciarsi con gli altri e con l’intero ambiente rendendolo protagonista di un percorso che parte dal singolo (dal sé), arriva al molteplice (noi e gli altri) e ritorna al singolo (sé). In una sorta di “viaggio dell’eroe” che da incosciente divinità si fa umano consapevole.
La comunicazione è complessa. Possiamo individuare in essa componenti verbali, paraverbali e non verbali. Studi cominciati più di cinquanta anni fa, confermano che la sua efficacia dipende in minima parte (7%) dal significato letterale delle parole. Gli elementi paraverbali (tono, volume, velocità, colore, timbro, pause,…) influenzano la ricezione del messaggio per il 38%. Gli aspetti non verbali (postura, gestualità, mimica, prossemica) contribuiscono per il 55%.
Inoltre noi modelliamo la nostra personale riproduzione della realtà attraverso:
i cinque sensi (il mondo che definiamo realtà è una riproduzione di ciò che entra attraverso le nostre porte della percezione e quello che noi ci rappresentiamo non è la realtà ma la nostra personale interpretazione di essa);
filtri individuali (ognuno di noi ha una sua personale storia, ha visto cose, vissuto avvenimenti, ascoltato consigli di parenti e amici, avuto esempi positivi e negativi…);
filtri sociali (valori, regole, prescrizioni, modi comuni di vedere, a cui ci adeguiamo durante la crescita in quanto esseri umani inseriti in contesti sociali come famiglia, scuola e lavoro).
L’uomo non è e non sarà mai una monade, un pianeta isolato dagli altri, anche quando è solo e silenzioso in mezzo al nulla. E la comunicazione è complessa. È processo duale per natura intrinseca e sociale per ambiente esterno di condivisione della conoscenza in cui sono coinvolti differenti profili psicologici, valoriali ed esperienziali. In quanto tali, essi stabiliscono tipi e modalità di relazione non sempre riconducibili al classico nesso logico causa-effetto. Al contrario, osserviamo chiaramente interazioni sistemiche e caratterizzate da incertezza, indipendentemente dal contesto in cui essa si sviluppa. Inoltre, la comunicazione quale interazione sociale è caratterizzata da un sistema di relazioni nel quale azione e retroazione hanno un forte carattere probabilistico, che ne accentua ancora maggiormente il livello di incertezza. Dunque, un approccio pragmatico alla comunicazione deve necessariamente essere comportamentale e relazionale, il che ci riconduce al carattere complesso della stessa. Come ha affermato Watzlawick, l’osservazione dell’uomo mentre comunica è fondamentale per comprenderne le dinamiche, i meccanismi e le cause.
Disegni di Salvatore Parola
Sceneggiatura e testi di Francesco Spadera