Il capitalismo della sorveglianza, di Shoshana Zuboff
Recensione a cura di Francesco Spadera
“La verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese: crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione. E lì dove una volta c’era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza, che vi costringono ad accondiscendere a ciò. Com’è accaduto? Di chi è la colpa? Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate il colpevole… non c’è che da guardarsi allo specchio”. (V)
Sembra la descrizione di un mondo ormai seppellito nel buio lontano della nostra storia, eppure la verità è che c’è qualcosa di terribilmente attuale in queste parole.
Sono i dati e le informazioni gli strumenti del potere, oggi. Un potere che non si esercita più attraverso la repressione fisicamente violenta di un governo, nella pratica presente dispotico e distopico nella sua proiezione teorica futura, ma che opera “banalmente” attraverso la seduzione e la manipolazione psicologica.
Ecco il “capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff, che così descrive “nell’era dei nuovi poteri” lo scenario alla base dell’attuale ordine tecno-economico e “il futuro dell’umanità”. L’esperienza umana sfruttata, depauperata della sua essenza attraverso la mercificazione dei dati, nuova materia prima per pratiche commerciali segrete e dinamiche di potere che impongono un dominio assoluto sulla società, sfidando la democrazia e mettendo a rischio ogni forma di libertà.
Nella società dello sviluppo tecnologico infinito, emerge ancora più evidente questa grave minaccia per la natura umana: un’architettura globale di sorveglianza, ubiqua e sempre all’erta, osserva e indirizza tutti i nostri comportamenti al fine di soddisfare gli interessi di pochi, coloro i quali dalla compravendita dei nostri dati personali e delle predizioni sui nostri comportamenti futuri traggono enormi ricchezze e, di conseguenza, un potere senza precedenti.
“Il capitalismo della sorveglianza sta racchiuso in questa parola: predittività, cioè prevedere e al tempo stesso manipolare, condizionare, plasmare le scelte che saranno fatte quando ci si collega a un sito internet o quando si clicca per acquistare una merce” – dice la Zuboff, che mostra anche quanto la pervasività e la pericolosità di questo sistema, abbiano di fatto innescato un meccanismo per cui, spesso senza rendercene conto, paghiamo per farci controllare e dominare.
Favorita dalle cosiddette “nuove tecnologie”, la trasparenza forzata nell’era digitale erode lo spazio privato necessario per l’autonomia individuale e quella che sembra una forma di libertà non è altro che una subdola, e sempre più pervasiva, forma di schiavitù.
I dati personali vengono estratti e sfruttati commercialmente dalle grandi aziende tecnologiche e la libertà apparente offerta dalle tecnologie digitali nasconde forme di controllo sottili e affascinanti. Le sirene non incantano più i viaggiatori con il loro canto dolce e misterioso: sono la comunicazione illimitata e l’iperconnessione ad ammaliare i moderni Ulisse ancora alla ricerca di una rotta che li riporti a Itaca.
Dunque? Dobbiamo soccombere senza potere fare nulla?
Quando apriamo un libro di storia, il presente compare sempre all’ultima pagina e, a quel punto, il libro è terminato. E la nostra esistenza? Anche la nostra esistenza termina con l’ultima pagina del libro?
Siamo abituati a considerare le soluzioni che abbiamo oggi a disposizione come strumenti per affrontare i problemi che incontreremo in futuro. Eppure, così facendo, “sottovalutiamo enormemente la rapidità e la radicalità con cui cambiano non solo le nostre tecnologie, ma anche la nostra stessa morale”. Una morale che non è soltanto una questione di latitudine, come riteneva Pascal, ma la cui dimensione temporale è altrettanto fondamentale per comprenderne i cambiamenti.
Questa nostra abitudine è anche una delle ragioni per cui abbiamo spesso paura del futuro: pensiamo di essere costretti a risolvere i problemi di domani con le tecnologie di oggi.
La verità è che non sappiamo – e non possiamo neppure immaginare – quali tecnologie avremo a disposizione tra venti o tra quarant’anni. Ci illudiamo che la storia abbia una fine, brutta o bella che sia. Pensiamo di aver raggiunto l’apice o la fine – strano che i due termini siano da considerarsi sinonimi in questo caso – del progresso e di essere diventati essenzialmente la versione migliore di noi stessi: è per questo che non riusciamo a immaginarci di poter pensare e agire diversamente in futuro. È per questo che non dobbiamo arrenderci a ciò che osserviamo intorno e dentro di noi. Nonostante tutto.
Il capitalismo della sorveglianza è l’incubo in cui è necessario immergersi per poter trovare la strada che ci conduca a un futuro più giusto: una strada difficile, complessa, in parte ancora sconosciuta, ma che non può che avere origine dal nostro dire che è ora di fermarsi per ripartire. Di fare un passo indietro per poterne fare due in avanti.
E lo stesso testo della Zuboff, per quanto le sue parole possano farla sembrare, a una prima lettura, una moderna Cassandra, profetessa di sventure ed eventi nefasti (“…i miei figli non potranno avere una vita come la mia”), alla fine è, invece, un appello alla resistenza contro questa forma di oppressione tecno-economica e un invito a ripensare il nostro rapporto con la tecnologia e i dati personali, perché “l’equità, la giustizia, la libertà sono più che parole: sono prospettive”.

Francesco Spadera. Laureato in Ingegneria Chimica, per anni ha lavorato come Project Manager in progetti internazionali nel settore Oil & Gas e come responsabile di progetti R&D nel settore delle energie rinnovabili. Attualmente è socio del PMI, Direttore Aggiunto del Board e Responsabile del Programma Eventi del PMI Southern Italy Chapter. Ricopre inoltre il ruolo di Coordinatore della Commissione di Project Management dell’Ordine degli Ingegneri di Salerno a partire dal 2019. Attualmente consulente di grandi aziende nazionali e internazionali, trainer di Project Management e Lean Thinking, ha focalizzato negli ultimi anni i suoi studi e il suo impegno nello sviluppo del potenziale umano nell’ambito dei team di progetto e nello studio delle neuroscienze applicate alla gestione di contesti progettuali complessi.