Istruzioni per rendersi infelici, di Paul Watzlawick
A cura di Francesco Spadera
È notte fonda. Un uomo, quasi sicuramente ubriaco, sembra intento a cercare qualcosa nei pressi di un lampione. A un certo punto, data l’ora tarda e incuriosito dalla situazione, gli si avvicina un poliziotto e gli chiede che cosa ha perso.
«Ho perso le chiavi di casa», risponde l’uomo, ed entrambi si mettono a cercarle.
Dopo aver guardato intorno a lungo, il poliziotto chiede all’uomo ubriaco se è proprio sicuro di averle perse lì. Al che l’altro risponde:
«No, non le ho perse qui, ma lì dietro», indicando un angolo buio e lontano in fondo alla strada.
«Ma allora perché diamine le sta cercando qui?», riprende il polizziotto un po’ irritato e sospettoso.
E l’uomo ubriaco con la spontaneità di un bambino: «Perché qui c’è più luce!»
Questo bizzarro aneddoto, apparso sulle pagine di alcuni quotidiani americani agli inizi del ‘900 e raccontato in una famosa striscia di Mutt & Jeff degli anni ‘40 in una versione leggermente diversa – cambia l’oggetto smarrito ma non il significato – è conosciuto come “Il paradosso del lampione” ed è citato dallo psicologo Paul Watzlawick nel suo celebre libro Istruzioni per rendersi infelici.
“Il numero di coloro che, con competenza e consapevolezza, si costruiscono la propria infelicità può sembrare relativamente grande. Infinitamente più elevato è però il numero di quelli che, anche in questo campo, hanno bisogno di consiglio e aiuto. A loro sono dedicate, come introduzione e guida, le seguenti pagine.”
L’intento del libro è chiaro e dichiarato fin dall’inizio. Almeno a chi sa leggere tra le righe di un capolavoro assoluto che fa del “negativo” di una fotografia il racconto esilarante e drammatico della fotografia stessa.
L’autore, che ha dato voce anche alla monumentale “Pragmatica della Comunicazione” sa molto bene che l’ironia e lo humor, in tutte le loro declinazioni, sono strumenti fondamentali nell’ambito della comunicazione. E, al fine di condividere il suo pensiero in merito al concetto di “felicità”, utilizza in questo surreale manuale per rendersi infelici un registro narrativo che fa di quegli stessi strumenti dei protagonisti assoluti.
Watzlawick parte da alcune considerazioni di quello che Friedrich Nietzsche considerava il più grande psicologo di tutti i tempi, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, e insieme a lui afferma che “Nulla è più difficile da sopportare di una serie di giorni felici”.
Diviso in tanti brevi capitoli, il libro, dunque, si presenta come una guida molto istruttiva su come rendere la propria vita infelice – ed ecco il “negativo”!
“Cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità?”
Dietro il velo dell’ironia, troviamo un’analisi acuta delle dinamiche psicologiche che spesso conducono le persone a uno stato di insoddisfazione e infelicità, una comprensione della natura umana e dei modelli comportamentali che possono sabotare il nostro benessere emotivo.
Gli strumenti utilizzati – appena assaggiati nella prima parte di questa recensione – gli permettono di condurci attraverso un viaggio intellettuale che mette in discussione le nostre convinzioni più radicate sull’infelicità e ci spinge a riconsiderare il nostro rapporto con essa e, di conseguenza, anche con il “positivo” della stessa: la felicità.
I “giochi con il passato”, i singoli curiosi episodi richiamati nei vari capitoli, il registro narrativo, e la struttura stessa del libro, mettono in evidenza una delle sue caratteristiche più affascinanti: sfidare il pensiero convenzionale. Watzlawick smonta pezzo per pezzo e senza alcun atto di forza, anzi con il sorriso arguto che appare anche sul nostro viso quando cominciamo a comprendere, i meccanismi che in molti casi alimentano l’infelicità, mostrando come questa sia molto più spesso di quanto possiamo immaginare autoinflitta e basata su schemi di pensiero distorti, pregiudizzi e “cattive abitudini”.
L’uomo ubriaco che cerca la chiave dove c’è la luce e non dove l’ha effettivamente perduta è una acutissima rappresentazione di quelli che sono comportamenti acquisiti ma che, diventati ormai meccanici e inconsapevoli, non ci permettono più di fare le cose nella maniera corretta. Portandoci sulla strada dell’infelicità. Abitudini mentali e modelli autodistruttivi che ci tengono intrappolati nell’insoddisfazione e nell’infelicità.
Il grande problema è che ci siamo abituati a fare diventare norma dei metodi e comportamenti adottati per necessità specifiche e in determinati momenti storici, ma ormai obsoleti e decontestualizzati. Questo ci porta ad agire senza riflettere sul perché ci comportiamo in un certo modo. Senza consapevolezza.
Circola un interessante racconto – alcuni dicono si tratti di un esperimento realmente condotto nel 1967 dal dottor Stephenson – che descrive proprio questo nostro modo nefasto di fare.
In una gabbia vengono rinchiuse 5 scimmie. Nella gabbia è poi fissata una banana al soffitto e predisposta una scala sotto di essa per raggiungere la banana facilmente.
Appena le 5 scimmie sono nella gabbia, una di esse tenta di raggiungere la banana. A questo punto però, prima di raggiungere il frutto, sia la scimmia sulla scala sia le altre quattro rimaste a terra sono colpite da un getto di acqua ghiacciata. La scimmia sulla scala è costretta a scendere.
Una seconda scimmia prova a raggiungere la banana ma anche lei è investita da un getto d’acqua gelata, così come le altre quattro a terra. E la “procedura” si ripete ogni volta che una scimmia prova a raggiungere la banana, fino a quando nessuna delle 5 scimmie ci riprova più.
Quando Stephenson si è accorto che nessuna delle 5 scimmie provava a salire nuovamente sulla scala, ha sostituito una scimmia – una sola delle 5 presenti nella gabbia – con un’altra completamente ignara degli avvenimenti e del getto d’acqua punitivo che colpiva chi tentava l’impresa.
La “nuova” scimmia, dunque, prova subito a raggiungere la banana, ma è fermata con strattoni violenti dalle altre quattro. Ogni volta che la nuova scimmia prova a risalire sulla scala è aggredita dalle altre, fino al punto da rinunciare al cibo, ma senza conoscerne assolutamente il motivo.
Una seconda scimmia è sostituita da un’altra scimmia ignara degli eventi. Anche in questo caso la nuova arrivata prova a raggiungere la banana ma è bloccata dalle altre scimmie, compresa quella che non conosceva le reali motivazioni del divieto.
Alla fine, la procedura di sostituzione delle scimmie ha portato man mano ad avere 5 scimmie completamente nuove rispetto alla situazione di partenza.
Ogni volta che una scimmia viene introdotta e prova a raggiungere il cibo, viene aggredita dalle altre scimmie, sia da quelle che conoscevano la punizione del getto d’acqua sia da quelle che si adattavano alle regole interne del gruppo senza conoscere il reale motivo dell’aggressione e del divieto.
Si è arrivati ad avere 5 scimmie completamente ignare della reale motivazione al divieto di raggiungere la banana e, nonostante ciò, immobili e impaurite dal tentare di salire sulla scala. In definitiva, una regola nuova ma irragionevole – perché il soggetto è inconsapevole – è stata tramandata alla successiva generazione e particolari comportamenti si sono consolidati e manifestati, senza avere delle reali motivazioni sottostanti.
“Istruzioni per rendersi infelici” è un invito forte a un cambiamento radicale nel modo in cui percepiamo e affrontiamo la vita: la felicità è spesso una scelta che possiamo fare, se solo impariamo a liberarci dai nostri stessi schemi mentali limitanti.
Buona lettura a tutti.
Francesco Spadera, laureato in Ingegneria Chimica, per anni ha lavorato come Project Manager in progetti internazionali nel settore Oil & Gas e come responsabile di progetti R&D nel settore delle energie rinnovabili. Attualmente è socio del PMI, Direttore Aggiunto del Board e Responsabile del Programma Eventi del PMI Southern Italy Chapter. Ricopre inoltre il ruolo di Coordinatore della Commissione di Project Management dell’Ordine degli Ingegneri di Salerno a partire dal 2019. Consulente e trainer di Project Management e Lean Thinking, ha focalizzato negli ultimi anni il suo impegno nello sviluppo del potenziale umano nell’ambito dei team di progetto e nello studio delle neuroscienze applicate alla gestione contesti progettuali.