The Lifelong Project, di Joseph Phillips
a cura di Vincenzo Mosca
Della locuzione “formazione professionale” si è nel tempo diffusa la formula “deformazione professionale”, che indica l’estensione di modi di fare e atteggiamenti tipici dell’attività lavorativa in contesti non lavorativi. L’intento con cui ci si riferisce alla deformazione professionale può essere sia ironico che dispregiativo, ma in entrambi i casi viene sottinteso un certo grado di gravosità attribuito alla persona a cui si rivolge tale locuzione.
In effetti è difficile non cadere nella tentazione di dare del “pesante” a chi è un Project Manager di professione. C’è un qualcosa che si può osare definire ossessivo nel voler organizzare le attività, pianificarle, eseguirle nel rispetto dei tempi, dei costi e degli obiettivi, monitorarle; che si voglia essere “tradizionali” o “agili”, l’attività di un Project Manager è scandita dal raggiungimento dei risultati intermedi, dalla valutazione della qualità di tali risultati e dal raggiungimento della linea del traguardo che deve coincidere con la soddisfazione del cliente, ma anche con la propria e con quella di tutti coloro che hanno contribuito a tale traguardo.
Indipendentemente da come si decide di impostare la gestione di un progetto, il PM applica metodologie e adotta degli strumenti che nel tempo portano a dei risultati concreti. Allora perché non provare a usare tali metodi e adattare tali strumenti alla vita di tutti i giorni? Perché oltre che essere PM di professione non si può provare a essere anche PM di sé stessi?
In fondo anche noi siamo il risultato degli obiettivi che ci siamo posti nel corso delle varie fasi della nostra vita; siamo stati portati al cambiamento per tutta una serie di contingenze, che magari hanno cambiato certe priorità e definito nuovi obiettivi che puntualmente abbiamo iniziato a perseguire.
Partendo da queste domande, dalle esperienze professionali di coach e formatore in ambito project management e, principalmente, dalle proprie esperienze personali, Joseph Phillips ha redatto un libro che di fatto è un compendio di project management applicato alla vita quotidiana. Senza cadere negli eccessi che possono connotare in maniera negativa la deformazione professionale, Joseph illustra in maniera accattivante e stimolante come utilizzare metodi e strumenti di lavoro del PM e ne mette in luce principalmente la duttilità. Duttilità che è un tratto tipico di un PM, dal momento che ci si ritrova a gestire progetti complessi caratterizzati ognuno da proprie peculiarità e alle quali il PM deve adeguarsi e adeguare l’utilizzo della propria cassetta degli attrezzi per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
La premessa fondamentale di questo libro, così come il punto di partenza ideale per descrivere compiutamente il percorso dello stesso, si trovano nelle domande poste alla fine. L’idea di base è che né noi né la nostra vita siamo un progetto, ma i risultati che vogliamo ottenere sono paragonabili alla gestione di un progetto. Ecco le 5 domande a cui rispondere e che Phillips ci sottopone verso la conclusione del testo:
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- Se la tua vita finisse oggi, cosa ti pentiresti di non aver fatto?
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- Se dovessi vivere solo per un altro anno, quali esperienze vorresti fare?
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- Se dovessi vivere solo per un altro anno, come gestiresti i rapporti con la tua famiglia e con gli amici?
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- Cosa vorresti che gli altri dicessero di te una volta che non ci sarai più?
- Cosa vuol dire per te essere vivo rispetto al semplice vivere?
Dalla risposta a queste domande emergerà quella che è la visione che abbiamo di noi stessi e della nostra vita, da cui promaneranno degli obiettivi che sentiamo di voler raggiungere. Senza rendercene conto siamo già entrati nella prima delle 5 fasi di gestione di un progetto: l’avvio, fase in cui ci si definiscono gli obiettivi strategici. In questa fase iniziale Phillips ci fornisce degli strumenti per indirizzare i nostri obiettivi personali, attraverso quelle che lui definisce “Move and Delete List” (una lista di azioni che percepiamo nocive al raggiungimento dei nostri scopi) e “Add and Change List” (una lista di azioni che desideriamo modificare nella nostra routine perché crediamo siano utili per ottenere i risultati sperati). Dalle liste menzionate emergeranno i nostri requisiti su cui si baserà lo “Scope Document”, cui saranno abbinate le liste degli assunti e dei vincoli. Entrando quindi nella fase di pianificazione, ecco che oltre al “Project Charter” troverà posto “l’analisi dei dubbi e delle paure”, le nostre avversarie più dure in vari momenti della vita e che l’autore ci invita con metodo ad affrontare per imparare a gestirle. Si procede quindi con la definizione della lista delle attività, la definizione della “work breakdown structure” e la stima di tempi e costi delle attività individuate e, infine, il disegno del flusso di progetto per identificare le relazioni tra le attività. In questa fase non deve mancare il registro dei rischi con il relativo piano di gestione degli stessi e anche un censimento delle “change request” che potranno materializzarsi nel corso del nostro Lifelong Project. Poi si passa all’azione, alla fase esecutiva, che deve essere puntualmente monitorata in un processo iterativo che coinvolge all’occorrenza la gestione dei rischi e la revisione del piano e delle stime. Infine, si procede alla chiusura del progetto tramite il confronto tra quanto si era previsto e quanto si è raggiunto.
Nel corso delle pagine, che scorrono velocemente, si ha la sensazione che tutto sia facile, che gli strumenti siano intuitivi e che tutto sommato non ci si debba sforzare così tanto come invece l’autore sottolinea più volte. Ma ecco che ritorna la “deformazione professionale”: chi fa il mestiere del PM sa quanti sono i possibili inciampi in cui si può incorrere durante la vita di un progetto. Trattandosi in questo caso di un progetto di cui siamo Clienti di noi stessi, se vogliamo garantire gli standard di qualità che raggiungiamo nella nostra vita lavorativa, dobbiamo dedicare al nostro Lifelong Project tanto impegno quanto tempo.
L’autore ci esorta a non cadere nell’errore di essere troppo severi o troppo indulgenti con noi stessi, ma di essere giusti e onesti e cercare senza vergogna anche il supporto di qualcuno che possa fungere da sostenitore o da “controllore” dei nostri progressi. Ecco perché il concetto di Lifelong Project elaborato da Phillips è quello di un progetto della durata di 1 anno a cui è auspicabile farne seguire degli altri per raggiungere via via sempre più obiettivi e una più compiuta crescita personale. Si tratta di fatto di decidere con noi stessi se avviare un viaggio fatto di tappe, ognuna della durata di 1 anno. Non tutto andrà come ci immaginiamo, saremo chiamati a sforzi e talvolta anche a sacrifici se vogliamo raggiungere certi obiettivi, ma affrontando tutto con il giusto piglio ci ritroveremo più maturi, soprattutto più capaci di gestire le parti più ignote di noi stessi che, nella maggior parte delle situazioni, ci limitano il raggiungimento dei risultati che maggiormente desideriamo.
Phillips, nell’accompagnarci tra i processi di gestione di un progetto adattati ai nostri obiettivi personali, si dimostra un coach persuasivo. Oltre a disseminare diffusamente frasi motivazionali, ha come fattore di successo la spiegazione di questi incoraggiamenti. Non solo quindi ci esorta con il più classico “se ce l’ho fatta io puoi farcela anche tu”, ma ci spiega che possiamo farcela perché se siamo mossi dalla nostra volontà intrinseca di ottenere degli obiettivi allora saremo in grado anche di superare i momenti bassi che fisiologicamente ci troveremo ad affrontare ma, soprattutto, superare e imparare a gestire le nostre ansie e i nostri dubbi.
Considerazioni conclusive
Ho seguito diversi corsi su piattaforme MOOC di Joseph Phillips e il suo fare amichevole e motivante mi ha spinto a leggere questo libro, soprattutto perché nel corso della mia esperienza lavorativa mi sono chiesto spesso se avesse senso l’applicazione di metodologie di project management nella vita quotidiana. In questo libro ho trovato non solo una risposta propositiva, ma anche degli strumenti e delle motivazioni decisive per la definizione e il perseguimento dei miei prossimi obiettivi. La lezione più importante che mi lascia Phillips è che oltre a “fare il PM nella mia vita” vorrei anche provare a “essere il PM della mia vita”, riuscendo a raggiungere gli obiettivi che mi porrò di volta in volta, ma vivendo il resto del tempo.
Vincenzo Mosca, attualmente Project Manager in ambito infrastrutturale IT presso un’importante realtà assicurativa a livello internazionale, ha lavorato come PM/PMO in una società di consulenza per circa 10 anni occupandosi principalmente di Antiriciclaggio, Budget & Reporting, BPR & Organization. Socio e volontario del PMI-SIC dal 2022.