Humanocracy, di Gary Hamel e Michele Zanini
a cura di Paola Mosca
Ho scelto questo libro perché mi ha attirato il titolo.
Chi mi conosce sa che nel mio lavoro ho sempre adottato metodi che mettessero la persona al centro della organizzazione, seppur nel mio microcosmo e anche se spesso criticata per questo mio approccio.
E allora come poteva un titolo del genere non attirare la mia curiosità.
E le aspettative non sono state disilluse.
Mettere al centro il fattore umano
Se ci prendiamo un momento per riflettere sulla nostra organizzazione pensando Siamo più o meno propensi all’assunzione del rischio, siamo più prudenti o più coraggiosi, oppure se l’impegno dei singoli è più tiepido o più fervente, quasi certamente l’organizzazione fotograferà situazioni carenti di coraggio, creatività e passione. Ogni istituzione nasce da un insieme di scelte per organizzare gli esseri umani verso la realizzazione di un obiettivo particolare.
La premessa di questo libro è che la maggior parte di queste scelte possono e devono essere rivalutate.
“Non dovremmo accontentarci di organizzazioni autoritarie sconfortanti. C’era un tempo in cui la maggior parte del pianeta era governata da tiranni ma oggi i miliardi di esseri umani vivono liberi… come i nostri antenati, dobbiamo dare il nostro contributo per l’emancipazione dello spirito umano.”
Quale percentuale delle persone che lavorano nella vostra organizzazione sarebbe d’accordo con le seguenti affermazioni?
- Il mio lavoro è la mia passione
- Spetta a me prendere decisioni aziendali significative
- Mi sento direttamente responsabile verso i clienti
- È nel mio istinto pensare in modo snello
- Il mio team è piccolo e super flessibile
- Il successo di questa impresa dipende criticamente da me
- Misuro il progresso in giorni e settimane non in mesi o trimestri
- Ogni giorno ho la possibilità di risolvere nuovi problemi interessanti
- Ho una partecipazione finanziaria significativa nel successo di questa impresa
10%? 5%? 1%? Quelli riportati sono commenti verosimili per il proprietario di una piccola azienda ma raramente si sente qualcuno pronunciarli in una grande organizzazione.
Le grandi aziende avrebbero tutte le risorse per essere cuori pulsanti dell’imprenditorialità: hanno notevoli disponibilità finanziarie, migliaia di dipendenti di talento ma ciò che manca sono i dipendenti che si sentano come proprietari.
Più di un centinaio di studi hanno esplorato l’impatto dell’autonomia e della partecipazione ai guadagni sulle performance aziendali e la maggior parte ha rilevato la presenza di una correlazione positiva.
I ricercatori olandesi Dirk von Dierendonck e Inge Nuijten hanno condotto uno studio che ha fornito risultati indicativi: inizialmente hanno costruito un modello a otto fattori della cosiddetta leadership di servizio, la servant leadership. I comportamenti critici erano i seguenti:
- Responsabilizzazione: aumento dell’autonomia decisionale dei propri subordinati
- Responsabilità: rendere i lavoratori responsabili delle conseguenze delle loro decisioni
- Altruismo: attribuzione della priorità ai bisogni altrui
- Umiltà: aperto riconoscimento dei propri limiti e dei propri sbagli
- Autenticità: capacità di relazionarsi onestamente e apertamente con gli altri
- Coraggio: capacità di sfidare le norme istituzionali nell’interesse del sostegno altrui
- Perdono: dimostrazione di empatia e della volontà di perdonare
- Tutela: assunzione della responsabilità del successo dell’integrità dell’istituzione nel suo complesso
È emerso che la responsabilità del manager era il fattore con maggiore impatto sulle performance lavorative e che la combinazione di autonomia e prospettiva di crescita è quello che alimenta il fervore imprenditoriale.
Nel testo vengono citati alcuni esempi di aziende in cui si è riusciti a creare una cultura della proprietà diffusa e gli autori propongono alcuni suggerimenti su come si potrebbe aumentare il senso di proprietà nella vostra organizzazione:
- Distribuire la propria autorità. Di fronte a decisioni critiche lasciare che sia il team ad assumersi la responsabilità condivisa delle stesse.
- Creare un piano di partecipazione agli utili
- Ampliare le prerogative di decision making
- Riconoscere alle Business Unit il diritto di negoziare il prezzo dei servizi forniti centralmente e di tirarsi indietro se credono che l’affare non sia conveniente
- Una volta che ogni unità dispone di un autentico conto economico, assicurarsi che a performance sopra la media corrispondano ricompense sopra la media.
Dunque, porre al centro l’uomo…
…proprio come ci sta proponendo il punto di vista della Indutry 5.0; vedi il documento redatto dalla comunità europea “Industry 5.0 Towards a sustainable, human-centric and resilient European industry”
La Commissione europea mette al centro concetti come approccio Umanocentrico, Sostenibilità e Resilienza.
A proposito del primo concetto, esso vuole evidenziare che la tecnologia deve essere impiegata per adattare il processo di produzione alle esigenze del lavoratore. Significa anche far sì che l’uso delle nuove tecnologie non interferisca con diritti fondamentali dei lavoratori quali privacy, autonomia e dignità umana.
Per quanto riguarda la sostenibilità, un forte accento è quello legato all’economia circolare e all’efficienza energetica, in particolare, mentre la resilienza si riferisce alla necessità di sviluppare un più alto grado di robustezza nella produzione industriale, armandola meglio contro le interruzioni e assicurandosi che possa fornire e sostenere infrastrutture critiche in tempi di crisi.
E secondo i nostri autori:
“Un’organizzazione davvero resiliente non si nasconde mai dietro l’evidenza e corre verso il futuro, cambia prima del necessario e coglie più opportunità di quanto dovuto, cresce più in fretta dei suoi rivali e ha un vantaggio nell’attrarre i lavoratori più dinamici del mondo.
Gli esseri umani sono creativi, le organizzazioni no. Gli esseri umani si appassionano, le organizzazioni no.”
Una delle più importanti transizioni paradigmatiche che caratterizzano il modello 5.0 è lo spostamento dell’attenzione dal progresso guidato dalla tecnologia a un approccio umanocentrico. Questo significa non lasciare indietro nessuno e richiede la capacità di mantenere un ambiente di lavoro più sicuro, rispettoso dei diritti umani e attento alle competenze richieste per i lavoratori.
Da questa attenzione all’elemento umano e sulle persone, Industria 5.0 si lega a Società 5.0, termine nato in Giappone e che è basato sul concetto di “Società”. In esso, il modo in cui le persone assicurano il loro sostentamento è direttamente collegato al modo in cui costruiscono la loro società. Società 5.0 cerca di bilanciare lo sviluppo economico con la risoluzione di problemi sociali e ambientali.
Concludo dicendo che è un testo molto attuale, correlato alle evoluzioni cui stiamo assistendo; un testo che appassiona, coraggioso, che incita alla lotta alla burocrazia per fare in modo che si possa lavorare in un modo migliore, fondato sulle relazioni e sulla comunità, leggero nelle regole ma solido nella condivisione degli obiettivi.
Il testo è organizzato in quattro parti ed è di circa 300 pagine.
Nella prima si racconta la forza della burocrazia e il perché è importante mettere al centro il fattore umano.
Nella seconda si racconta come due realtà hanno realizzato organizzazioni umanocentriche.
Nella terza si danno I principi dell’Umanocrazia e i poteri intorno a cui ruota.
Nella quarta si suggerisce come praticamente ci si può muovere, delineando un piano per costruire organizzazioni totalmente umane e totalmente capaci.
“Se credete che gli uomini meritino di più dal proprio lavoro e che dovremmo essere assistiti da istituzioni più dinamiche creative, sono moltissime le cose che potete fare per aiutare il mondo a progredire. Se partite con i principi giusti e imparate a pensare come un attivista, potete contribuire in modo decisivo ad arricchire la vita dei vostri colleghi e ad aiutare la vostra organizzazione a prosperare in un mondo che per quanto instabile è ricchissimo di opportunità. Non dobbiamo tirarci indietro o distogliere lo sguardo.”
Paola Mosca è laureata in Fisica a Napoli nel 1980. Inizia la sua carriera in Olivetti nel campo dell’automazione industriale, continuando in altre importanti aziende e maturando negli anni sempre maggiore esperienza nella gestione di progetti. Negli ultimi anni ha ricoperto, per più di un anno, la carica di Direttore Tecnico dell’area Telecomunicazioni a San Paolo (Brasile), un’esperienza particolarmente stimolante. Ha contribuito alla fondazione del PMI Southern Italy Chapter e nel corso degli anni ha partecipato attivamente come membro del Board; oggi ricopre il ruolo di Past President.
Tra i suoi interessi principali, la valorizzazione delle competenze delle risorse umane, il coaching e le “soft skill” nelle varie declinazioni e sfumature.