La pratica della Leadership Adattiva – Strumenti e tattiche per trasformare le organizzazioni e le comunità, di Ronald Heifetz, Marty Linsky & Alexander Grashow
Recensione a cura di Danilo d’Amato
Ogni sistema ha bisogno di una guida per formulare regole, procedure e azioni quotidiane che consentano di affrontare i conflitti, cogliere opportunità e rispondere alle sfide che interessano ogni comunità, garantendo il miglior funzionamento possibile. Trovare un modo per compiere tutto ciò è il lavoro della leadership.
Negli ultimi anni sembra ormai essere diventata una necessità, un mood, parlare di leadership o comunque cercare ogni fonte e comportamento per essere un ottimo leader! Quanto realmente la conosciamo ma soprattutto quando e quanto realmente serve?
Quanti di voi non hanno mai visto una delle seguenti immagini:
Ed ecco allora che nasce subito un’altra domanda: perché non possiamo vedere queste stesse “differenze”, e anche di queste tratta il testo, in un altro tipo di immagine?
Perché il capo è solo colui che indica, inquisisce, demanda, e invece il leader viene rappresentato come colui che sta AVANTI al gruppo, colui che “TIRA” per PRIMO dando il solo “buon esempio” e che alza le braccia… per tutti? Vi propongo un’altra visione di leader con quanto emerge anche dal testo; sono riuscito con l’immagine ricreata a esprimere il concetto e motivarvi nello scoprire? Trova le differenze!
Tutti possiamo essere o diventare dei leader? Ma più che altro abbiamo capito bene cosa fa o, ancor meglio, come si distingue un leader? E poi la domanda più importante: vogliamo esserlo? Dobbiamo esserlo? Leader si nasce o si diventa? Anche questa una delle domande più che riecheggiano ormai nell’aria. Ci sarà un momento in cui la leadership diventa caratteristica essenziale di un capo, quando licenziare, prendere decisioni da solo o agire secondo principi diversi dal comune sentire diventa una vera e propria necessità?
In realtà, questo perché a un leader si chiede comunque di avere delle doti di capo, di controllo e di comando altrimenti “la barca non va avanti!”. Chi deve dare quello stimolo, chi deve… Se lo ricerchiamo nelle memorie storiche in Italia, è con Machiavelli e il suo Principe che si inizia a parlare del ruolo di leader: “Una buona guida che sia in grado di impegnarsi nel dirigere il popolo, di esercitare il potere, di mantenere una certa autorità”.
“Esercitare la leadership è commerciare la speranza” (cit. Napoleone Bonaparte).
La definizione del termine leadership non è così diretta come può sembrare e anche i richiami etimologici sono da costruirsi: dall’inglese “to lead”, che significa dirigere, condurre, esercitare autorità, capacità di guidare un gruppo di persone; ricercando si trova che la derivazione del termine inglese proviene dall’antico Sassone “leiten”, che ancora oggi in tedesco significa condurre.
Volendo infine mantenere un nazionalismo e interesse storico, possiamo dire che in italiano condurre deriva dal latino “cum” e “ducere” che insieme stanno a significare portare con sé, dirigere.
Riportandoci alla nostra lettura, il termine leader deriva anche dalla radice indo-europea leit-, utilizzata per designare colui che portava lo stendardo davanti a un’armata che si dirigeva in battaglia e che, dunque, normalmente veniva ucciso per primo, dando una testimonianza ai soldati che lo seguivano. L’etimologia della parola potrebbe però dissuadere non pochi dal volerlo acquisire… sebbene a tanti altri piace ricevere tale titolo e le organizzazioni lo elargiscono volentieri, sperando così di mantenere le persone nei ruoli in cui le hanno collocate. Ed è proprio quest’ultima definizione del termine che porta poi a giungere alla Leadership Adattiva.
La leadership adattiva – una visione di leadership molto più introspettiva: un modo per fare chiarezza in noi stessi partendo dalla diagnosi che ci permette di valutare quanto le perdite di alcuni valori, la sensazione di slealtà, in primis verso noi stessi e poi verso principi già radicati nella realtà in cui cerchiamo di migliorare, e poi quel senso di “incompetenza” allontanando le nostre certezze, ci portano a decidere se esercitare o meno questa leadership, così tanto ricercata e sembrerebbe essenziale negli ultimi tempi. È l’atto di mobilitare un gruppo di individui con il fine di affrontare sfide difficili e, se possibile, superarle. Tale modello di leadership deriva dall’applicazione delle teorie di Darwin dell’adattamento, alla vita delle organizzazioni e dei sistemi in generale. Il paragone con la biologia è chiaro: secondo quest’ultima, prosperare significa sopravvivere e così funziona anche per le organizzazioni, che riescono a cambiare la loro cultura organizzativa per rimanere a galla in una società in continua evoluzione.
Il volume in realtà si presenta come un vero e proprio manuale d’uso e si apre con un’ampia veduta sulla “gestione e controllo” che nasce dalla necessità per un sistema, qualsiasi esso sia, di organizzarsi per raggiungere un obiettivo. Parte con una giusta misura nel definire i vari aspetti e caratteristiche della leadership per poi presentare la sua caratteristica adattiva, frutto quest’ultima soprattutto dei tempi e delle necessità che scaturiscono in un mondo in continua e costante evoluzione. Ecco allora una riesamina dei concetti legati all’ormai nota leadership, prima ancora di distinguerla dall’autorità, dal comando, intesa nel senso negativo, per poi infine porre il punto di come l’altra autorità, quella positiva, quella dell’aver bisogno di qualcuno che si prende carico delle responsabilità, sia arbitro oggettivo e giusto per non giungere al mero obiettivo ma a quello comune e nel benessere psico-fisico lavorativo; leadership implica arrecare disturbo, ma a un livello che sia tollerabile dal sistema…
In realtà le prefazioni e tutte le note sembrano quasi allontanare dalla lettura lo specialista della materia. Poi, però, proprio grazie a questa struttura, gli autori presenta quella “cassetta degli attrezzi” che piace sempre allargare e portare costantemente con sé, in un percorso soprattutto introspettivo e d’ausilio per intraprendere quella “strada” notevolmente dura, se non addirittura “rischiosa” se non percorsa nei giusti modi e tempi.
Attenzione però, come dicono gli autori stessi, non stiamo parlando di problemi tecnici, dove molto probabilmente un buon capo ha più valore di un leader, conoscendo già la soluzione e applicandola o facendola applicare risolve tutto, ma stiamo parlando proprio, nella leadership adattiva, di quelle situazioni identificate come “sfide adattive” dove viene richiesta sperimentazione, nuove scoperte e cambiamenti all’interno dell’organizzazione che diventa necessario e possibile solo se, appunto, è interiorizzato da chi ha deciso di adottarlo. Già in questo si comincia a intravedere la rischiosità della leadership adattiva, quindi è facile intuire come il leader adattivo non escluda tra le sue personali previsioni del domani il fallimento, l’insuccesso, ma è talmente tale la proiezione di questa leadership che, per quanto rischiosa, ti porta a vederla comunque come “una delle più nobili aspirazioni del cuore umano.”
Nella prima parte del testo si può trovare, per l’appunto, tutta la “teoria dietro la pratica”, partendo da concetti e definizioni ormai già noti di “boss” e “leader”, di controllo così come di supporto, di comando come di confronto; a seguire, il libro si apre a essere, proprio come definito dagli autori, un “libro da campo”, per i motivi dagli stessi illustrati, essendo frutto dell’esperienza e per la versatilità e flessibilità nei confronti del lettore che lo può utilizzare per una propria analisi interiore e come ausilio per la sfida particolare che si trovano a dover affrontare, avendo avuto il “coraggio” di intraprendere un percorso adattivo, trattando sia l’aspetto motivazionale, purpose, che quello tecnico, skill, al fine di massimizzare il successo.
Molto interessante risulta essere proprio la parte relativa alle quattro sezioni che vanno a delineare quanto il percorso concettuale esprime per la leadership adattiva; pertanto, non da seguire in un ordine preciso ma un percorso da compiere secondo i propri bisogni: la diagnosi del sistema, l’intervento sul sistema, la diagnosi di sé e l’intervento su di sé.
In realtà gli autori li presentano proprio in una forma tabellare, quasi a richiamare quattro quadranti che siamo soliti vedere in altre metodologie (penso a questo punto alla SWOT Analisys) che permette sia una lettura “waterfall”, sia una lettura simile a una “pescata in riva al fiume”, partendo da ciò che risulta più necessario nella particolare situazione personale vissuta in quel momento.
Ma prima di dare una veloce descrizione sulla parte “pratica” nei quattro punti appena elencati, lasciando comunque ai futuri lettori dell’opera l’emozione di farne un’analisi sulla propria esperienza e necessità delle informazioni in esse contenute, mi piacerebbe entrare più nel merito della leadership, così come descritta e analizzata in generale nel testo, sino alla teoria che la costituisce indentificandola nella sua forma adattiva.
Nella leadership adattiva si individuano due macro-momenti: la diagnosi e l’azione. A sua volta portano in seno la raccolta dei dati, l’identificazione del problema, la fase interpretativa e infine l’azione; in tutto ciò il concetto di problem solving resta sempre legato a un processo iterativo di continuo testare, sperimentare, controllo e modifica.
La dottrina adattiva si sofferma soprattutto sulla tipologia di domanda: “Che cosa sta veramente succedendo?”, ovvio da questo che proprio la fase di diagnosi diventa fondamentale e delicata. Come risolvere questo: “salendo in balconata”, osservare dall’alto senza alcun coinvolgimento diretto, cercando di cogliere tutti i dettagli che in altro modo non erano percettibili. Sicuramente un grande punto di forza della leadership adattiva è la condivisione, lo scambio costante tra il leader e il gruppo, ma questo ovviamente vuol dire cominciare da un adattamento in primis nel leader stesso.
Negli ultimi periodi sempre più si è sentito parlare di Leadership, di decision making, di negoziazione, di coaching, il perché è semplice da analizzare: siamo in un periodo di forte squilibrio, di indecisione, di crisi, di caos. È di platonica memoria che il caos è la fonte della “materia informe e rozza” da cui attinge il Demiurgo per la formazione del mondo ordinato, il Cosmo. Anche gli egiziani lo intendevano come forza positiva che potesse contrastare la casualità distruttiva. In tutto ciò entra in gioco quello che può dirsi l’adagio “la gente resiste il cambiamento”. Effettivamente, quello che emerge anche dalla lettura è che ogni persona non è contraria al cambiamento, anzi lo accoglie anche volentieri, soprattutto quando questo ha una conveniente proiezione; differentemente, forte sarà l’opposizione dettata dalla perdita o anche la sola paura presunta. Il modello adattivo trova il suo più grande ostacolo, che può condurre anche al fallimento, proprio nella resistenza che si può incontrare dal gruppo di fronte a una potenziale perdita.
Lo scopo della leadership adattiva è dunque aiutare le persone, le organizzazioni e le comunità a distinguere il DNA essenziale – e quindi da conservare – da quello che va messo da parte. Prima sfida è andare al di là della propria autorità, mettere in discussione la propria credibilità e la propria posizione, al fine di invogliare gli altri ad affrontare il problema con cui si ha a che fare. Se non si è disposti a sacrificare la propria reputazione e le aspettative che gli altri hanno su di noi, sarà molto difficile liberarsi dai condizionamenti del sistema.
Interessante, come dicevo qualche rigo prima, lo sviluppo del “modello di diagnosi”, dove ogni punto si presenta con una sorta di prefazione ed esempio di vissuto a cui poi porre la metodologia d’analisi descritta nell’applicazione della leadership adattiva, e quindi: viste da “balconate” e sul “campo”, inserendo altre lesson learned e strumenti che direi anche di poter usare nell’immediato. Nei fatti, tutto ciò mi ricorda qualcosa… Fast Project Break, ma questo è un altro discorso.
Infine, i leader sono seguiti perché dimostrano di essere abili e impegnati per il bene della collettività, quello che conta quindi è la meritocrazia, dando spazio non all’individuo, non al gruppo, ma alla squadra; se preferite i soliti termini, allora governance collaborativa o anche leadership condivisa.
Vi auguro una buona lettura, ma soprattutto un buon uso.
Danilo d’Amato, ingegnere Elettronico, Founder & Director della Dolphy Consulting®, realtà di ingegnerizzazione dei processi e consulenza manageriale, nei settori del Project, Quality & Energy Management; per anni ha lavorato come manager in diverse multinazionali in sedi nazionali ed estere ricoprendo anche ruoli dirigenziali. Appassionato delle discipline di management, si è certificato PMP®, Energy® e Auditor® Manager, EGE® nei settori civile e industriale e Lean® & Lead® Quality Manager. Oltre alle consulenze, privata e pubblica, svolge attività di formatore ed è membro di alcune commissioni del CNI come di vari enti e ordini.
Socio del PMI e PMI-SIC, ha ricoperto il ruolo di responsabile dell’area Salerno nel branch Campania, di cui ne è diventato responsabile dal 2021. Founder & CVO dell’organizzazione Fast Project Break.
La sua filosofia: “Smile & Enjoy your Life… seriously!”