Resilienza. Una parola che negli ultimi anni ha acquisito una posizione di primo piano in molte conversazioni, articoli e testi che anche i non addetti ai lavori incontrano quotidianamente. Una parola che, però, a molti è diventata antipatica, quasi invisa, a causa dell’utilizzo inflazionato che se ne è fatto. Un’antipatia, probabilmente, dovuta alle eccessive speranze che tanti ripongono in questo termine, quasi una formula magica da ripetere a mo’ di mantra per ritrovare la perduta pace interiore.
Eppure, al di là di istintive repulsioni di stampo razionalistico da parte di molti, come per qualsiasi altra parola, il significato che essa esprime e il valore che genera dipendono dall’utilizzo della stessa nel linguaggio.
Resilienza deriva dal latino “resiliens”, resiliente, e dal verbo “resilire”: letteralmente “rimbalzare”, ma anche “tornare indietro” e quindi “rinunciare”, “desistere”. Curiosamente è l’esatto contrario del significato che le si dà oggi in inglese e nelle lingue neolatine.
Il concetto di resilienza, nell’ambito della scienza dei materiali, indica la capacità di un materiale di assorbire energia mentre viene deformato elasticamente, restituendola una volta che la sollecitazione termina. Negli anni ’70 il medesimo concetto fu adottato in campi molto differenti da quello della ingegneria meccanica: in ecologia e biologia, ad esempio, è la capacità di una specie di auto-ripararsi dopo un danno; nella teoria dei sistemi è la capacità che ha il sistema di resistere ai cambiamenti provocati dall’esterno mantenendo la coesione strutturale. Nell’ambito della psicologia e delle neuroscienze, ampliandone e modificandone parzialmente il significato originario, essa è la capacità di un individuo di adattarsi a condizioni di stress e di contesto non stabili. Da questo punto di vista, una persona resiliente è l’opposto di una persona vulnerabile, in quanto tende a non arrendersi nonostante le difficoltà causate dall’ambiente: la resilienza psicologica rappresenta dunque, come afferma P. Trabucchi, “la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi”.
365 Daily Inspirations – Introduzione
Il libro che raccontiamo nella rubrica SIC Book Review del mese di agosto parla sì di resilienza, ma in maniera diversa dal solito, non tanto nei contenuti quanto nella struttura che le due autrici hanno dato a tali contenuti e all’intero testo. Il sottotitolo dà un’idea molto concreta e precisa del suo scopo.
Il libro è costituito da dodici sezioni, quanti sono i mesi in un anno, e ogni sezione contiene trenta o trentuno, a seconda del mese, “offerings”, ovvero “offerte”, o meglio ancora in italiano, proposte di riflessione.
Ognuna delle 365 pagine è suddivisa in tre zone:
– una citazione (“affirmation”), attinente al tema della resilienza;
– una domanda o più domande, che fanno da stimolo a riflettere sulla citazione iniziale;
– un’affermazione a fondo pagina che indica un’azione da intraprendere.
Come utilizzare questo libro
Altro particolare interessante sono i suggerimenti pratici che le autrici danno sui modi di leggerlo:
- leggere una pagina al giorno a sé stessi
- leggere una pagina al giorno con i propri bambini
- leggere una pagina al giorno partendo dalla prima pagina
- leggere una pagina al giorno e agire in accordo con essa
- leggere una pagina al giorno a caso
- leggere una pagina insieme a un gruppo di amici, cercando di portare a termine l’attività indicata e condividendo in seguito i risultati ottenuti con tutti gli altri.
Al di là della modalità di lettura scelta, è evidente il carattere di percorso che un testo di questo tipo offre se affrontato come suggerito da Eva e Hyacinth.
Che tipo di viaggio ho scelto?
Sulla base dei suggerimenti iniziali, pur essendo un lettore solitario, ho deciso di affrontare questo viaggio in compagnia di mia figlia (dodici anni). I bambini hanno una visione diversa da chi, ormai cresciuto, è stato in parte “corrotto” dalla vita. Già in passato avevo cercato, in maniera semplificata, di attingere al loro modo innocente di percepire le cose per comprendere se e quali strumenti del project management potevano essere interessati da un punto di vista completamente differente da chi fa questo per lavoro o, quotidianamente e inconsapevolmente, per necessità. Ed ecco l’occasione giusta! Premetto che non abbiamo avuto il tempo per leggere tutte le 365 pagine, semplicemente perché non avevamo un anno intero per arrivare a scrivere queste osservazioni sul libro e, pertanto, le considerazioni fanno riferimento a 100 giorni, ma è stata sicuramente, almeno per noi, una gran bella esperienza.
Si parte…
Il primo giorno di viaggio (pagina 1) si comincia con la seguente citazione di Oprah Winfrey: “The more you praise and celebrate your life, the more there is in life to celebrate” (Più lodi e celebri la vita, più ci sarà da celebrare nella vita stessa).
Nella seconda frase della prima pagina, viene suggerito di scrivere su un foglio dieci traguardi raggiunti nell’ultimo mese – e così abbiamo fatto mia figlia e io – senza un ordine particolare. Quindi le domande: “Guardando alla lista dei traguardi raggiunti, quali sono stati i più semplici e i più complessi? Sei pronto e disposto a celebrarli?”
Fondo pagina: “Io sono orgoglioso di me stesso”.
E così abbiamo continuato per i nostri cento giorni, ottenendo alla fine una sorta di diario ma, soprattutto, riuscendo ad acquisire in maniera semplice e divertente una maggiore consapevolezza di aspetti che troppo spesso trascuriamo pur nella loro estrema semplicità.
Resilienza, organizzazioni e project management
È possibile utilizzare questo metodo all’interno di un sistema più complesso? Recentemente il concetto di resilienza si è progressivamente diffuso anche nell’ambito della
scienza delle organizzazioni e in quello del project management. La crescente complessità dei contesti in cui si sviluppano i progetti determina un impatto significativo sui progetti stessi e sul modo di gestirli: incertezze, turbolenze, eventi imprevisti, interessi differenti e tanto altro ancora rappresentano da sempre una sfida per il Project Manager, e oggi tale sfida sta diventando ancora più serrata. Gli strumenti considerati tradizionalmente a disposizione del Project Manager e del team di progetto sembrano non essere più sufficienti. Questo perché, probabilmente, abbiamo dimenticato che i progetti sono fatti e gestiti da persone. Riuscire ad accrescere la resilienza degli individui, delle organizzazioni, potrebbe essere, dunque, un fattore determinante per il successo. E in un mondo del lavoro frenetico e in continua evoluzione, e caratterizzato da una quotidiana “accelerazione e alienazione”, riscoprire ed esercitare in maniera semplice la capacità di ogni essere umano, che già qualche secolo fa Blaise Pascal paragonava a quella di una canna fragile ma pensante, potrebbe essere uno degli strumenti fondamentali per affrontare queste nuove e complesse sfide.
Francesco Spadera