Leadership? Perché? Ma anche perché no? È una moda oppure una necessità? Ormai ne parlano tutti, quasi come se fosse una buona prassi; rispetto a cosa? E se non fosse vincente?! Quanto la cultura più dell’esperienza, soprattutto lavorativa, fa il buon leader? Quando e come nasce un leader?
Beppe Carrella è un ingegnere elettronico, manager cresciuto nel mondo dell’ICT e CEO in Italia e all’estero per grandi realtà; fondatore di BClab e docente universitario, nonché autore di diversi testi, i più noti forse proprio quelli sulla leadership, ne cito uno dei tanti, diverso da quello in review, “Provocative Thoughts” del 2013, ritenuto tra i dieci libri più importanti sul tema delle risorse umane; un contaminatore di entusiasmo: persona che con il suo fare semplice, innovativo e visionario, spesso anche provocatorio nell’essere sui generis, ma ricco di tanta esperienza e altrettante chiavi di lettura della realtà. Salernitano nel mondo, ama definirsi un rigattiere di mestiere e uno spacciatore di rock, ma come riesce a rinnovare e far suonare le tue corde è davvero un leader nel senso più completo del termine.
Nel testo scelto per la rubrica, sicuramente è possibile “assaggiare” come, attraverso un personaggio della letteratura classica, Don Chisciotte della Mancia, si può inseguire il proprio sogno per realizzare un mondo migliore in sella al suo ronzino e in compagnia di quello che poi diventerà un grande amico, confidente e seguace, ma mai secondo, Sancho, in realtà “il buon senso”.
Richiami cinematografici, musicali, culturali e ovviamente letterari, di tutti i tempi, per riscoprire come il leader, un Project Manager, può avere diversi punti di “osservazione”, ispirazione, ma ancor di più come la curiosità, la contaminazione, come Beppe la definisce ancor meglio, sono la vera base dell’evoluzione.
In realtà il libro consta di due parti; la seconda è “Uscire di scena”, dove probabilmente è più semplice raccogliere, ma essendo talmente introspettivo quanto bello, non ho alcuna voglia di farne una review per invogliarvi a leggere questa parte, anche perché… sarebbe troppo personale. La lascio quindi a voi, prossimi lettori, perché con la prima avrete già fatto un bel volo pindarico in voi stessi: ”l’hidalgo è diventato cavaliere, non ha bisogno più di dimostrare il suo valore per ottenere quella carica, ma deve solo dimostrare ciò che è diventato, che ne è degno”. La consapevolezza e la partenza della vera missione: la “chisciottizzazione” di Sancho Panza.
Chi è il leader
In realtà c’è sempre “…un periodo nella vita della maggioranza di noi in cui abbiamo desiderato diventare dei cavalieri: vivere avventure, stupire la nostra dama (o uomo), superare mille prove e poi venire ricompensati da una fama duratura, essere portatori di grandi ideali e valori quali la libertà, l’uguaglianza, la cortesia. Che fine ha fatto questo sogno?”.
Ma chi è realmente il leader? Come possiamo identificarlo? È una figura cui ispirarsi? Un metodo o prototipo per fare carriera o avere successo? Spesso si identificano come degli eroi, dei vincenti, coloro i quali salvano le aziende in crisi, sanno uscire dalle situazioni scomode trainando il gruppo e motivando tutti al lavoro anche se questo è pesante ed estenuante. Tutto ciò è molto restrittivo, quasi una banalizzazione che porta poi al soffocamento e a stereotipare falsamente questi ruoli.
Quindi il vero motivatore, la vision che poi dà agio al leader di essere, nasce forse proprio da chi gli sta accanto, e quindi il Don motivatore del Sancho, che viene fuori da una necessità, una crescita, una meta, un’ambizione da perseguire. Lo scudiero che cresce durante tutto il romanzo, ha la sua evoluzione, le sue vittorie a cui il cavaliere errante in realtà seguirà in eterno.
I leader oggi sono visti come i moderni ‘role model’ a cui i giovani devono ispirarsi per avere successo, nel lavoro, nella società, nel rapporto con i propri coetanei, ma quanto tutto questo non si trasforma spesso in un idealismo da perseguire a tutti i costi per cui si viene anche derisi? Quante volte non ci si ritrova in quegli ideali che poi non sono la vita quotidiana, reale? Ecco allora i due personaggi del libro, due mondi differenti ma che si completano tra di loro per dar vita a quella che l’autore definisce poi essere la leadership: esattamente l’incontro tra il senso di un ideale, il Don, e il percorso per renderlo terreno, lo scudiero, in pratica la strategia e il percorso per realizzarla. “Sancio si mise a gridare, e a dirgli: – Ritorni indietro la signoria vostra, signor don Chisciotte, perché giuro a Dio che sono montoni e pecore quelli che va ad attaccare …”; visti anche come le due facce della stessa parola sueño: l’immaginazione, il sogno e il sonno reale.
E qui, quindi, il leader reale, colui il quale non si arrende al fallimento, “il Cavaliere della Triste Figura”, che non si perde mai d’animo perché lotta per inseguire il suo sogno su cui ha tanto lavorato e per cui “ha studiato tanto” sino al momento in cui decide di partire per realizzarlo. Sogno, che di per sé non può essere del tutto razionale, ma è quello in cui credere per raggiungere l’obiettivo reale, il proprio percorso e successivamente il successo.
Studiare e prepararsi per partire per il proprio sogno, ma cosa si studia in realtà di un sogno? Beppe fa ben capire che la preparazione del viaggio sta proprio nel cercare di capire che quel sogno non sia un ripiego, quella che poi in realtà risulterebbe essere una fuga da qualcosa che non ci piace e da cui scappare o “la moda del momento” o anche come la definisce “una rivolta”, contrariamente al sogno che è, invece, e deve essere una vera e propria rivoluzione.
Non basta una passione, deve trovarsi un sogno alla base della motivazione non senza una buona dose di responsabilità, la cosiddetta “Sindrome da Don Chisciotte”: si è tutti bravi a fare i Superman con i superpoteri; bisogna assumersi il coraggio dei propri desideri e di combattere per realizzarli: “…sono stato anch’io un realista…” “…un uomo che non teme di soffrire” – il Don. Bisogna crederci, curarlo e coltivarlo quotidianamente, motivarsi con sempre nuovo entusiasmo, senza la paura di poter “essere bastonato e diventare imperatore”.
Diventare ed essere un leader
Una delle domande oggi più frequenti che trovi su internet, e che invogliano la maggior parte dei manager a leggere i manuali sulla leadership o, come li definisce lo stesso Beppe, check list, è proprio relativa alla lista dei famosi dieci passi per diventare un leader.
In realtà, più che analizzare quali le doti innate o quali le capacità da costruirsi, è proprio nel “leader della quasi vittoria” che troviamo la risposta. Infatti, allontanandosi da quelle che possono essere le differenze e la predominanza dell’una rispetto all’altra, nel testo si possono trovare diversi sillogismi legati anche a personaggi di diverso genere, ad esempio: Michel Platini e Mario Bros. L’uno la costanza, l’applicazione e la dedizione, oltre alla semplice passione, e l’altro la negazione del leader per il suo andare sempre avanti, di corsa e senza aver prima opportunamente costruito e reso solido quel sogno, pensandoci a lungo e trasformandolo in un valido percorso.
Quindi, forse, la domanda più corretta non è nascere o diventare leader, ma crearsi la leadership basandosi su una propria capacità: LASCIARSI CONTAMINARE. Sì! Proprio così, farsi contaminare da tutto quello che si ha attorno, “essere come una spugna”, frase che sentiamo sempre dire agli inizi del nostro entrare nel mondo del lavoro, ma in realtà qui è più da intendersi come l’assorbire qualunque cosa di interessante, che può essere cultura, sapere, esperienza e che ci porti poi al costante confronto per migliorarci, attraverso libri, manuali, testi di ogni genere, musica, fumetti, giochi, la vita quotidiana e le esperienze altrui.
A questo punto poi, Beppe ci permette nuovamente di rimettere in gioco quanto appena stabilito aprendo un altro scenario: essere leader vuol dire non essere attore, ossia non portare una maschera. “Io so bene chi sono, e so che posso essere non solo quelli che ho nominato, ma tutti e dodici i Pari di Francia e i nove della Fama”. Quindi cerchiamo di capirci un attimo; siamo partiti che la dote innata è in effetti la capacità di farsi contaminare, bisogna credere e lavorare per portare avanti il proprio sogno, lottare e non scoraggiarsi di sconfitte e fallimenti e ora, alla amletica domanda Essere o Fare, arriviamo alla conclusione che il leader è definito da quel che fa, soprattutto non fingendo di essere. Sono le azioni che determinano il leader: fai una cosa perché ci credi e non perché stai recitando una parte; sei valutato per quello che fai, per le tue azioni, ma soprattutto dalla capacità di coinvolgere in queste. In pratica, pertanto, COSTRUISCE SUL SUO SAPERE e SUL VOLERE EMOZIONARE, così nasce il vero leader, colui da seguire.
Si analizzano lungo tutto il viaggio due termini che sembrano sinonimi, ma fanno proprio la differenza del leader: Passione ed Entusiasmo. Il leader in realtà è colui che ti contagia con il suo ENTUSIASMO, mentre la passione può essere molto limitante e non sempre riesce a portare al successo. Contaminazione ed Entusiasmo sono dunque quelle doti del leader da coltivare e alimentare giorno per giorno. Qui una perla dal leader Carrella nel parlarci della sua infanzia e della bottega del nonno, dove gli arnesi e ogni oggetto diventano addirittura compagni di quel viaggio che è la vita lavorativa quotidiana.
Il fallimento e la resilienza
Chi conosce Beppe o lo ha sentito in uno dei suoi numerosi interventi, sa bene la sua ritrosia verso il termine resilienza e diversamente il suo elogio della zoppia, dove i famosi esempi sul Dr. House mostrano ancora una volta la sua trasversalità culturale: “devi barcollare per arrivare da qualche parte, se non hai dubbi non arrivi da nessuna parte”. Non da meno nel don Chisciotte: il nostro cavaliere studia a dismisura, quasi non differenzia più la realtà da quello che ha nella sua cultura – “…gli s’inaridì il cervello in maniera che perdette il giudizio” – unica luce di realismo è proprio nel suo scudiero. Poi, a un certo punto si decide: non esiste giusto tempo o giusta età e parte per realizzare il sogno, con tutte le difficoltà del caso, che però riesce a superare proprio perché ha costruito prima il tutto. Non si tratta, quindi, di una semplice “rivolta”, ma fondamentali sono la motivazione e l’entusiasmo nel sogno: dunque, “non abbandonare i sogni, se puoi, dagli forza e consistenza e poi lascia siano loro a prenderti, a portarti un’altra volta via da qui”. È vero che hai fissa la tua idea in testa? Ma è un sogno… allora, come l’elmo del Don, nessuno riuscirà a toglierlo dalla testa, tuttavia devi sempre confrontarti per capire che quella che stai percorrendo è la strategia giusta.
La resilienza, nel leggere la prima volta il testo, emerge proprio come “la capacità di resistere e perseverare per raggiungere il proprio sogno”, partendo anche dall’etimologia e origine latina della parola che voleva dire “saltare indietro”, ritornare a uno stato precedente. Ma durante l’intero percorso è facile intuire come sia molto di più e come si presenta anche in diverse forme attraverso i personaggi: possibilità di reagire positivamente a scapito delle difficoltà. Quindi il leader, il don: resiliente in realtà non è colui che vince sempre ma colui che non si lascia abbattere, “che si tira su dai colpi e dalla polvere”, anche dopo aver aiutato gli “ingrati”, “pronto alla prossima avventura perché è resiliente sul serio e perciò invincibile”; di contro l’analisi dello scrittore Cervantes: “capace di assorbire i traumi dall’esterno e farli diventare trama stessa del suo racconto, coinvolgendo il lettore a partecipare attivamente, trasferendo questa resilienza nell’evoluzione di storia e personaggi”.
Leader e leader
Quanta strategia deve esserci e quanta “meraviglia”? “Un popolo, un’azienda, una persona che non è capace di stupirsi, che non ha cura della propria mente, è destinato a scomparire miseramente”. Esistono diverse tipologie di leader ma due in particolare prendono sempre più piede: l’empatico e il duro (in realtà la definizione dello scrittore è un bel po’ più colorita). Si parla anche di Diversità Cognitiva, per giungere alla conclusione de “la pazzia come unica alternativa per uscire dal grigiore”.
La leadership quindi non è sempre positiva, dolce, ma chi dice che questa versione è sbagliata? È preferibile avere non la via di mezzo in questo caso, bensì la compartecipazione delle due caratteristiche, per trarne sempre un giusto bilancio tra ego, psicopatia tipica del folle e pazzia: tutti aspetti premianti dell’essere leader.
Quindi, abbiamo bisogno di un leader, di una guida che sappia ammettere le proprie debolezze, ascoltare, lavorare insieme ai fallimenti per trarne un insegnamento, ma soprattutto restare sempre entusiasta nella capacità di contaminare e condividere la gioia del successo, e farlo anche con ‘il serio sorriso quotidiano’.
Sulla scia di quello che Beppe chiama “pornografia del talento”, mi viene da consigliare, in chiusura, di non cominciare a leggere un testo di Carrella se non puoi dare tempo alla tua testa di comprenderlo, calandoti completamente in un nuovo fantastico mondo e modo di funzionare… meglio sfogliare, senza leggere, un Topolino!
Danilo d’Amato